E' mattina. Ed è tardi, per alcuni è passata l'ora di pranzo, io mi sono svegliato da poco. Cammino più di due km. Lunga la strada, tutti mi salutano. Sconosciuti, alcuni non mi hanno mai visto, altri non mi vedranno mai più. Mi salutano comunque. Non per creare conversazione, non per introdurre altri argomenti, nessun tornaconto: mi stanno semplicemente salutando. Lentamente mi avvicino alla mia meta. Compro della frutta. Ananas, dolce, vivo. Ci sono. C'è il sole, c'è la sabbia, c'è il mare. Ci sono le onde e c'è la gente. Mi sdraio sulla spiaggia. Osservo il mare. Lascio tutto quello che ho e mi butto in mezzo a queste onde alte metri. Se mi dicessero che questo posto è il paradiso non sarei poi così stupito. Esco dall'acqua. Me ne vado. Altri 2 km, ma decido di allungare la strada. Vado dritto. Arrivo al tempio. Entro. Passo la grande porta esterna, aperta. Non c'è nessuno. Capisco che è questo il vero paradiso, quello in cui mi trovavo poco fa è solo un inferno, una piacevole illusione transitoria. Non sai se qui tutto durerà così per sempre, ma sai che per ora è perfetto. Non c'è nessuno. Faccio un giro nel cortile. Silenzio, quasi sovrannaturale. E se fosse successo qualcosa di incredibile mentre venivo in qui, e se fossi rimasto l'ultimo uomo sulla faccia della Terra? C'è un grosso altare. Faccio due foto. Senza motivo. Lo faccio e basta, va fatto o forse no, ma io lo faccio. La prima è storta e non è a fuoco, la riguardo e vedo un alone confuso in cui si distinguono i contorni di questo silenziosissimo altare. Un rumore. Come se venisse da un altro mondo, ma allo stesso tempo come se fosse giustissimo che echeggiasse li in quel momento. Mi volto. Lo vedo. Lui vede me. Un monaco. Fa le sue faccende. C'è solo lui, nel silenzio. Il sole è incandescente, deve essere al suo apice. Siamo in un posto in cui quando il sole è al suo apice lo senti. Mi saluta. Senza parole, in silenzio. Mi avvicino. Voglio salutarlo ma non so come fare. Lo saluto, in silenzio. Forse per lui il mio gesto è un saluto, o forse è una dichiarazione di guerra. Non parlo la sua lingua e lui la mia. Come se si fosse all'improvviso ricordato qualcosa, mi fa cenno di aspettare qui. Si allontana, lo seguono due cani, in silenzio. Torna. Mi offre una bottiglietta d'acqua e due frutti dell'albero del tempio. Buon auspicio. Vorrei ricambiare, un offerta, un augurio. Non so come fare. Non ci sono cassette per le donazioni, e non posso dargli del denaro a mano. Non lo ricambio. Per lui è uguale. E' felice. Mi da un' ultima occhiata e torna alle sue faccende. Felice. Io non so se sono felice, sono sollevato. Vorrei restare li per sempre. Mi sento leggero, come se i mali del mondo dipendessero un po' meno dalla mia persona, finche resto in questo luogo sacro. O magico. Non è che qui ci sia un enorme distinguo tra magia e sacro. Vorrei stare li per sempre. Ma so che devo andare. Vorrei fare un gesto significativo prima di andarmene, ma non mi viene in mente nulla, accenno un ultimo giro nel cortile, e poi semplicemente me ne vado. Il monaco sta ancora lavorando. E' felice.
Il tempio era Wat Nai Harn, la spiaggia Hat Nai Harn, ed ero sull'isola di Phuket, Thailandia.
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