martedì 25 ottobre 2011

Livorno Grappling Challenge 2011

Gara di cui non sono soddisfatto per molti motivi, mi aspettavo una resa maggiore e un risultato migliore.
Ho vinto la prima lotta, perso la seconda e perso il ripescaggio. Alcuni errori (il kouchigari in cui proietto ma vengo direttamente raspato) e in generale poca precisione. Nulla che non si possa correggere.


del terzo incontro manca il video, ho affrontato un abile judoka che mi ha più volte proiettato (tra le altre cose, con un kataguruma da manuale). Forse questo è stato il match di cui conservo il ricordo migliore perchè trovandomi con l'acqua alla gola ho avuto l'ardore di provare alcune volte un triangolo saltato, che non sono riuscito mai riuscito a chiudere ma comunque apprezabile.




Per me il torneo finisce con un quinti posto.

Veniamo ai miei compagni di team e poi mi lascerò a qualche considerazione in generale riguardo questo sport.
Il Rio Grappling Club Bologna questa volta ha schierato uno squadrone veramente agguerrito: 9 lottatori di cui 4 esordienti in classe C, 1 classe C, 1 ragazza, e 3 classe A. Squadra eterogenea che dimostra come la nostra accademia si stia sviluppando ottimamente in ogni direzione. Strepitosi anche i risultati, più di metà della spedizione va a medaglia: bronzo per Hayabusa e Monica in classe C; oro per Jigo-Damiano in classe C; bronzo per Gianluca in serie A e oro per Simo in serie A.
Al di là del piazzamento va detto che la performance globale è stata ottima. In particolare, ai miei occhi sia Jigo che la Monica hanno mostrato una pulizia tecnica invidiabile, entrambi mostrando un gioco fatto di posizioni passaggi e raspage.
Gli esordienti Alessio 'Indiana' Salmi e Davide 'Hayabusa' Candeloro fanno anche loro un ottimo lavoro, mostrando che hanno la testa per gareggiare e sono pronti a mettersi in gioco dopo appena pochi mesi di allenamento, debuttando in classe C quando ormai molti partono dalla classe inferiore, D.
Menzione di onore per Filippo Girotto, che si preparara al suo debutto ma è costretto a rinunciare per mancanza di avversari. So quanto può essere frustrante una situazione del genere, ma il calendario gare è fitto e sono sicuro che Filo potrà rifarsi molto presto.
Sulla serie A non mi esprimo perchè in realtà non ho veramente idea di cosa significhi lottarci, giusto un appunto su Gianluca avendo gareggiato con lui in almeno altre 3 occasioni questa è stata la gara in cui l'ho visto in assoluto più performante, essendo sceso di categoria non deve più regalare nulla a nessuno e può esprimersi veramente ai massimi. Prevedo una grande annata in arrivo per lui.

In Generale è sempre un piacere trovarsi sul tappeto di gara e sopratutto è sempre un piacere rivedere tutti i cari amici con cui si condividono gioie e dolori, Mattia, Sara e gli altri di Firenze, Lavaggi e i suoi allievi da Sestri, Alessio Rimella e i suoi allievi di Parma e Reggio tra cui l'Affy che in passato si è allenata con noi a Bologna, i ragazzi di Massa Carrara, quelli di Pistoia e tutti gli altri che ora sicuramente scordo. Per me Rio Grappling Club è veramente una grande famiglia e farne parte è un piacere e un onore.

Infine un paio di considerazioni sullo sport. Il livello sta crescendo molto. Cresce il livello e crescono i numeri. Penso che un indice significativo sia il numero di donne che gareggiano, in costante crescita e quasi esponenziale. Inoltre sempre più agonisti già formati in sport affini, come lotta olimpica e sopratutto judo volgono le loro intenzioni al grappling. In serie A abbiamo visto diversi partecipanti sotto i venti anni giocarsela con veterani del settore, la -80 classe A se non erro è stata vinta da un diciottenne. Questi sono dati molto importanti e molto positivi per lo sviluppo di uno sport che amo così tanto, e sono anche un monito ad allenarsi sempre più duramente per restare al passo e mantenersi competitivi, specialmente salendo di categorie.

Anche se in definitiva sono rimasto un po' deluso, non ha senso negarlo, la voglia di competere e i brividi dell'agonismo mi fanno dire che ne vale definitivamente la pena.

lunedì 24 ottobre 2011

Il funambolo


"Ma allora accadde qualcosa che lasciò muta ogni bocca e fisso ogni occhio.Nel frattempo il funambolo si era infatti messo all'opera, e avvenne allora la cosa più terribile: vedendo la vittoria imminente del suo rivale cercò di saltare oltre colui che gli sbarrava la strada; ma perdette la testa e la fune, gettò via la pertica e precipitò al suolo come turbine di braccia e gambe. La folla si disperse nel punto dove sarebbe avvenuto l'impatto, ma Zarathustra rimase, e il corpo cadde proprio accanto a lui, spezzato ma non ancora morto. In fin di vita disse il funambolo: "Che fai tu qui, io lo sapevo da un pezzo che il diavolo mi avrebbe fatto lo sgambetto. Ora mi trascina all'inferno, vuoi tu impedirglielo?" "Sul mio onore amico, tutto ciò di cui parli non esiste. Nè diavolo nè inferno. La tua anima sarà morta prima del corpo: non temere, non perdi nulla." L'uomo levò gli occhi parlando con diffidenza disse: "perdendo la vita io dunque non perdo nulla, non valgo più di una bestia a cui è stato insegnato a danzare con percosse e cibo scarso". "Non è così" disse Zarathustra "Hai fatto del pericolo il tuo mestiere, e non c'è nulla di spregievole in questo. Ora perisci del tuo mestiere, e voglio dunque sepellirti con le mie mani." Quando Zarathustra parlò in questo modo il moribondo non disse altro, ma mosse la mano, come a ringraziarlo."
(liberamente adattato da 'Così parlo Zarathustra' di F. Nietzsche)

1987-2011



lunedì 17 ottobre 2011

Wat Nai Harn

E' mattina. Ed è tardi, per alcuni è passata l'ora di pranzo, io mi sono svegliato da poco. Cammino più di due km. Lunga la strada, tutti mi salutano. Sconosciuti, alcuni non mi hanno mai visto, altri non mi vedranno mai più. Mi salutano comunque. Non per creare conversazione, non per introdurre altri argomenti, nessun tornaconto: mi stanno semplicemente salutando. Lentamente mi avvicino alla mia meta. Compro della frutta. Ananas, dolce, vivo. Ci sono. C'è il sole, c'è la sabbia, c'è il mare. Ci sono le onde e c'è la gente. Mi sdraio sulla spiaggia. Osservo il mare. Lascio tutto quello che ho e mi butto in mezzo a queste onde alte metri. Se mi dicessero che questo posto è il paradiso non sarei poi così stupito. Esco dall'acqua. Me ne vado. Altri 2 km, ma decido di allungare la strada. Vado dritto. Arrivo al tempio. Entro. Passo la grande porta esterna, aperta. Non c'è nessuno. Capisco che è questo il vero paradiso, quello in cui mi trovavo poco fa è solo un inferno, una piacevole illusione transitoria. Non sai se qui tutto durerà così per sempre, ma sai che per ora è perfetto. Non c'è nessuno. Faccio un giro nel cortile. Silenzio, quasi sovrannaturale. E se fosse successo qualcosa di incredibile mentre venivo in qui, e se fossi rimasto l'ultimo uomo sulla faccia della Terra? C'è un grosso altare. Faccio due foto. Senza motivo. Lo faccio e basta, va fatto o forse no, ma io lo faccio. La prima è storta e non è a fuoco, la riguardo e vedo un alone confuso in cui si distinguono i contorni di questo silenziosissimo altare. Un rumore. Come se venisse da un altro mondo, ma allo stesso tempo come se fosse giustissimo che echeggiasse li in quel momento. Mi volto. Lo vedo. Lui vede me. Un monaco. Fa le sue faccende. C'è solo lui, nel silenzio. Il sole è incandescente, deve essere al suo apice. Siamo in un posto in cui quando il sole è al suo apice lo senti. Mi saluta. Senza parole, in silenzio. Mi avvicino. Voglio salutarlo ma non so come fare. Lo saluto, in silenzio. Forse per lui il mio gesto è un saluto, o forse è una dichiarazione di guerra. Non parlo la sua lingua e lui la mia. Come se si fosse all'improvviso ricordato qualcosa, mi fa cenno di aspettare qui. Si allontana, lo seguono due cani, in silenzio. Torna. Mi offre una bottiglietta d'acqua e due frutti dell'albero del tempio. Buon auspicio. Vorrei ricambiare, un offerta, un augurio. Non so come fare. Non ci sono cassette per le donazioni, e non posso dargli del denaro a mano. Non lo ricambio. Per lui è uguale. E' felice. Mi da un' ultima occhiata e torna alle sue faccende. Felice. Io non so se sono felice, sono sollevato. Vorrei restare li per sempre. Mi sento leggero, come se i mali del mondo dipendessero un po' meno dalla mia persona, finche resto in questo luogo sacro. O magico. Non è che qui ci sia un enorme distinguo tra magia e sacro. Vorrei stare li per sempre. Ma so che devo andare. Vorrei fare un gesto significativo prima di andarmene, ma non mi viene in mente nulla, accenno un ultimo giro nel cortile, e poi semplicemente me ne vado. Il monaco sta ancora lavorando. E' felice.

Il tempio era Wat Nai Harn, la spiaggia Hat Nai Harn, ed ero sull'isola di Phuket, Thailandia.

sabato 15 ottobre 2011

Lo Zen di Buddha

Buddha disse: «Io considero la posizione dei re e dei governanti come quella dei granelli di polvere. Osservo tesori di oro e di gemme come se fossero mattoni e ciottoli. Guardo le più belle vesti di seta come cenci strappati. Vedo le miriadi di mondi dell'universo come i piccoli semi di un frutto, e il più grande lago dell'India come una goccia d'olio sul mio piede. Mi accorgo che gli insegnamenti del mondo sono l'illusione di maghi. Distinguo il più elevato concetto di emancipazione come un broccato d'oro in un sogno, e considero il sacro sentiero degli illuminati come fiori che si schiudano ai nostri occhi. Vedo la meditazione come il pilastro di una montagna, il Nirvana come un incubo delle ore diurne. Considero il giudizio del bene e del male come la danza serpentina di un drago, e il sorgere e il tramontare delle credenze come null'altro che le tracce lasciate dalle quattro stagioni».

 

venerdì 14 ottobre 2011

Il Jiu Jitsu è Arte. E vi dirò perchè.

Secondo Michelangelo scolpire il David era la cosa più semplice del mondo, bastava prendere un blocco di marmo e togliere tutto ciò che non assomigliava al David. Il David esisteva, già splendido e perfetto nella mente dell'artista, per portarlo nel mondo reale, bastava unicamente un gesto manuale.
Quando Mozart componeva le sue opere, tra la bozza e la versione definitiva non vi era quasi differenza. Il giovane viennese componeva, eseguiva, modificava e valutava l'intera melodia nella sua testa, a quel punto bastava imprimerla in uno spartito.


Questi sono due esempi di due grandissimi personaggi che con la loro arte hanno dato un contributo indelebile alla nostra cultura. Ma cos'è l'arte? Una domanda difficile che apre mille porte, e in realtà precede un altra domanda ben più comune: quando un certo atto può essere definito arte?
Sinceramente non ho una risposta. Non una soddisfacente, quanto meno. E qui tutto il post inizia a perdere di significato. Tento allora di salvarmi in corner: l'arte è espressione. Banale. Ma c'è un fondo di verità. Ci si esprime in mille modi diversi ogni giorno, suonerebbe pretestuoso dire che tutto ciò è arte. Si potrebbe aggiungere che l'arte è un espressione del proprio essere che in aggiunta trasmette emozioni all'essere di un altro (o più) soggetti. Qui il nostro campo si restringe, già così ogni giorno la nostra produzione artistica subirebbe un crollo, rispetto alla precedente definizione. Allora mi permetto di aggiungere, che l'arte è espressione che genera emozione, e che questa emozione è lo stupore.
Lo stupore è la scossa della propria sfera mentale, un crollo di tutte le nostre certezze. Abbiamo la necessità di dare ordine e forma al caos da cui sgorga la nostra vita, lo stupore è quell'attimo in cui tutto l'ordine sparisce, ci rendiamo conto che siamo inseriti in un contesto così grande che non abbiamo gli strumenti per percepirlo. Siamo stupiti, tutto si blocca e ci godiamo quell'istante tra la contemplazione e l'oblio. Poi, i nostri meccanismi tornano in funzione, e ci forziamo a ordinare e inquadrare pure questa enorme emozione, la elaboriamo e quindi lo stupore diventa gioia, tristezza, angoscia e via dicendo. A ognuno di noi è capitato molte volte nella vita, maggiore è lo stupore, maggiore è l'intensità del momento e l'emozione che segue.

Ho divagato, lo faccio spesso, ma adesso torno al mio amato Jiu Jitsu. Anzi, torno con la testa ad una lezione di qualche sera fa. Stavamo guardando una tecnica, partendo da una posizione particolare. Non mi ricordo ne la tecnica ne la posizione. Ricordo solo che pensai: io li farei la talcosa (non ricordo nemmeno la talcosa). Nella mia testa, nel mio essere, era assolutamente logico e spontaneo, una volta in quella posizione fare la talcosa. Non c'era bisogno di pensare o capire, era così e basta. Invece il mio maestro fa un altro movimento. Diverso. In un ottica di giusto e sbagliato penso fossero entrambi corretti, la cosa che mi ha colpito è come da una situazione potessero nascere soluzioni così diverse, eppure così scontate per il singolo. Espressione. Espressione della propria biomeccanica, delle proprie tecniche precedentemente apprese, del proprio modo di guardare la vita (sono prudente e voglio sempre il massimo controllo? Sono disposto a prendermi dei rischi, anche grossi? Voglio porti sottopressione o aspetto che sia tu a commettere un passo falso?).
Quando ami veramente qualcosa, quella cosa diventa parte di te. Questo non significa che se ami tanto il Jiu Jitsu diventi un buon lottatore, purtroppo non basta. Però vuol dire arricchire la propria vita, renderla più ricca di un nuovo punto vista. E se inizi a guardare il mondo da una nuova angolatura, forse trovi nuovi modi e metodi per esprimerti. E se saprai esprimerti correttamente, forse, un giorno, creerai stupore ed emozioni in qualcuno. E allora ecco, che il Jiu Jitsu diventa arte.

sabato 8 ottobre 2011

I monaci e la ragazza sulla strada fangosa

"Una volta i monaci Tanzan ed Ekido camminavano insieme per una strada fangosa. Pioveva ancora a dirotto. Dopo una curva, incontrarono una bella ragazza, in chimono e sciarpa di seta, che non poteva attraversare la strada per timore di sporcarsi le vesti.
«Vieni, ragazza,» disse subito Tanzan. Poi la prese in braccio e la portò oltre le pozzanghere.
Ekido non disse nulla finché quella sera non ebbero raggiunto un tempio dove passare la notte. Allora non poté più trattenersi. «I veri monaci non avvicinano le donne» disse sgridando Tanzan, «e meno che meno quelle giovani e carine, è pericoloso, e potrebbe distrare la nostra mente. Perché l'hai fatto?».
«Io quella ragazza l'ho lasciata laggiù» disse Tanzan. «Tu la stai ancora portando con te?»"

La mente è il mistero più grande dell'universo, anzi si potrebbe dire che contiene a sua volta un universo. O forse semplicemente è il mistero più grande che siamo in grado di soppesare con l'intelletto.
Non amo commentare le storielle zen, perchè credo che il miglior commento a queste storie sia quello che nasce dentro di se, leggendo una storia zen ci si da una risposta alla domanda implicita che sorge spontaneamente, e allora ci si avvicina un poco alla comprensione del mondo reale. In questo caso però un commento credo ci stia bene. 
La conclusione che traiamo da questa storia è che ci sono due monaci, uno che a modo suo pensa di essere irreprensibile, e uno che di primo acchito è più superficiale. Poi però ci accorgiamo che in realtà quello superficiale è andato oltre la forma penetrando il cuore dello Zen. Il monaco Tanzan in questa storia vive 'qui e ora'. L'evento di cui entrambi hanno avuto esperienza è durato un momento. Poi è finito. Il nostro primo monaco però, con la sua mente l'ha prolungato, tutta la giornata è rimasto fermo a quell'evento, e magari nel farlo si è perso altre cose successe dopo. Nel farlo di sicuro ha fatto sorgere pensieri negativi, ha biasimato il collega, si è sentito migliore di lui. Una semplice azione del passato ha influenzato tutta la giornata, con effetti negativi, il nostro buon monaco. Invece Tanzan no. E' passato oltre. E' successo, è stato un evento della sua vita, l'ha vissuto nel presente ma poi l'ha riposto nel passato. Tanzan vive ogni istante della sua vita con attenzione, come l'unico davvero importante. Futuro e passato non lo turbano. La sua mente è calma. E' felice.