venerdì 23 marzo 2012

Black Belt



"A black belt only covers two inches of your ass. You have to cover the rest"
Royce Gracie

mercoledì 21 marzo 2012

Le origini del Jujutsu (pt 3)



Miti e leggende alla base delle varie scuole.
Quando e come sia nato esattamente il Jujutsu è oscuro. Di certo si sa che la maggior parte delle scuole sono sorte intorno al 1600, non appena il Giappone uscì da secoli di guerre intestine per abbracciare il nuovo stato di unità nazionale. Sicuramente però, il Jujutsu esisteva anche prima, testimone è il fatto che in molte di queste scuole le tecniche prevedevano la lotta in armatura, elemento caratteristico del campo di battaglia.
In Giappone l'idea di Storia è molto distante da quella occidentale, plasmata sul modello Greco-romano, e forse in questi termini non esiste nemmeno, vi è una grossa tendenza a ricorrere al mito per far perdere nella notte dei tempo l'origine dei fenomeni sociali, e forse dar loro importanza. In fin dei conti risulta anche comprensibile, se si considera la comparsa tardiva della scrittura e che per la maggior parte del tempo la principale attività della casta dominante è stata la guerra. A questo fenomeno non sfugge il Jujutsu, e ci sono state quindi tramandate alcune leggende sulle origini mitiche del Jujutsu.


La Leggenda del Salice
Secondo la scuola Yoshin Ryu (Scuola del Cuore di Salice) il Jujutsu ebbe origine in un tempo in cui le forme di lotta premiavano il contendente più forte fisicamente. Per questo motivo, un esile medico di origine cinese girò tutto l'arcipelago nipponico studiando varie arti marziali, ma senza mai avere successo e venendo sconfitto tutte le volte. Poichè era fortemente motivato continuò per anni, arrivando a conoscere quasi tutti i sistemi del tempo, ma senza riuscire mai ad applicare le sue tecniche. Infine, decise di ritirarsi presso un tempio e meditare 60 giorni, se in questo periodo non avesse avuto un illuminazione celeste avrebbe abbandonato la lotta e sarebbe tornato alla professione di medico. Per tutto il tempo il medico meditò con grande concentrazione, ma per quanto si sforzasse non riuscì ad avere nessuna intuizione particolare. Al termine del suo ritiro si preparava a tornare a casa sconsolato, quando all'improvviso cominciò una forte nevicata che lo trattenne al tempio. Il giorno dopo era tutto coperto di neve, e ancora nevicava. Allora il medico guardò fuori dalla finestra, e vide una possente quercia. I rami della quercia, grossi e resistenti, sopportavano un enorme carico di neve, ma prima o poi, inevitabilmente si spezzavano sotto il peso di essa. Allora si accorse, che dietro la quercia che cadeva a pezzi vi era un piccolo salice. La neve cadeva sulla quercia quanto sul salice, ma i rami di questo una volta coperti di neve, pur sopportando molto meno peso di quelli della quercia, una volta che il carico era troppo eccessivo, grazie alla loro elasitictà si piegavano e lasciavano cadere tutto il peso della neve. Vedendo questa scena il medico ebbe una realizzazione e da lì comprese il principio alla base del Jujutsu.
Oggi la scuola Yoshin ryu non esiste più nel ramo principale, ma è sopravvissuta tramite rami cadetti. Alla Yoshin ryu si riconosce talvolta la paternalità degli stili di combattimento a mani nude giapponesi, sebbene questo sia impossibile da provare.


Il maestro Cinese
Una seconda leggenda, che pone ancora una volta un elemento cinese nella paternalità dell'arte marziale giapponese, vuole che il jujutsu discenda da un maestro cinese di nome Cin In (il nome può variare in base alle diverse tradizioni). Questo maestro sarebbe stato un esperto di Kenpo cinese, che in Cina viene detto Quanfa o Kungfu, in visita in Giappone. Giunto nel porto di Nagasaki conobbe tre giovani ronin, samurai disoccupati, e per dare loro nuovi stimoli alla vita insegnò la loro arte. Essi conoscevano già le arti marziali giapponesi, essendo per l'appunto guerrieri. In breve tempo presero a girare tutto l'arcipelago misurandosi con altri esperti di combattimento. Giunto in tarda età, uno di questi ronin decise di fondare la sua scuola, la Kito ryu (la scuola della luce e dell'ombra) in cui oltre all'aspetto della lotta, basata su proiezioni e tecniche di controllo a terra, si insegnava una filosofia di ispirazione confuciana, in cui assumeva centralità la contrapposizione degli opposti, lo Yin e lo Yang qui identificati per l'appunto come luce e ombra. Questa filosofia si traduceva direttamente nel combattimento: per mantenere un equilibrio delle forze, se l'avversario spinge è necessario tirarlo, se l'avversario tira è necessario spingerlo. Particolarità della scuola era lo studio di tecniche con in fosso l'armatura da battaglia, che rendevano superflui l'uso dei colpi ma fondamentali gli sbilanciamenti. Oggi giorno la Kito ryu mi risulta estinta in tutti i suoi rami, ma in realtà sopravvive più di ogni altra scuola antica essendo stata una delle scuole in cui si è formato Shihan Kano Jigoro, fondatore del Judo, fortemente influenzato da questo stile di lotta.


Yoshimitsu no Minanomoto
Una terza e più macabra leggenda vuole che il primo grande personaggio alla base del jujutsu non fosse un umile medico o un povero cinese, ma il grande signore della guerra Yoshimitsu. Egli fu il principale artefice della fortuna dei Minamoto, il clan che dopo una feroce guerra civile contro i Taira si pose alla guida del Giappone, cambiandone per sempre la storia. I Taira erano infatti esponenti della nobiltà, l'antica casta strettamente legata all'imperatore e caduta poi in declino, i Minamoto erano invece esclusivamente Samurai, servitori di palazzo dei nobili. Sebbene inizialmente furono i Taira ad avere la meglio uccidendo tutti i capi dei Minamoto, fu Yoshimitsu a ribaltare le sorti della guerra vendicando i genitori e i parenti. Anche qui la leggenda sconfina pesantamente nella storia, si vuole infatti che Yoshimitsu imparò le arti marziali da un Tengu, un creatura metà uomo metà corvo tradizionalmente legati alle arti marziali. Yoshimitsu era un implacabile guerriero ma sopratutto un grande generale e castello dopo castello distrusse tutti gli avamposti dei Taira. Sembra, che solo l'ultima fortezza del nemico non accennava a cedere, e furono costretti ad un lungo assedio. Si dice, che Yoshimitsu, in questo assedio durato un anno, si facesse portare ogni notte i cadaveri dei guerrieri morti in battaglia, per eseguire un attenta opera di studio anatomico. Così facendo, il generale-guerriero apprese i segreti delle ossa, dei muscoli e delle articolazioni, sviluppando numerose tecniche di lotta corpo a corpo che si basavano sulla sua conoscenza medica.
Yoshimitsu è anche l'eroe romantico per antonomasia: dopo aver sconfitto il nemico e conquistato il paese lo consegnò nelle mani del fratello, non guerriero ma burocrate, esso, invidioso per la stima riscossa da Yoshimitsu e timoroso che potesse sottrargli il potere lo condannò a morte. Ma il generale scelse una vita in esilio e così inizio a fuggire, e fuggì per tutta la vita. Divenne leggendario come eroe del popolo, perchè sebbene i soldati del fratello furono sempre molto vicini a catturarlo, egli riuscì a scappare ogni volta. Ecco quindi che nell'immaginario collettivo Yoshimitsu è l'eroe innocente perennemente in fuga dall'autorità.
La leggenda vuole che suo figlio si trasferì nella provincia di Kai, dove cambiando nome diede origine al clan Takeda, tramandando le tecniche elaborate dal padre ai guerrieri scelti del clan. Il clan Takeda fu uno dei grandi clan della storia giapponese, che ebbe fortune alterne, nel periodo delle guerre civili, alcuni secoli dopo, Takeda Shingen fu vicino a conquistare il potere sull'intero giappone. Nei primi anni del 1900, uno degli ultimi esponenti di questo clan, Takeda Sokaku ebbe un allievo particolarmente noto, Ueshiba Morihei, che sulla base delle tecniche apprese della Daito ryu Aikijujutsu fondò il suo Aikido.

lunedì 19 marzo 2012

Sport da Combattimento e Professionismo



Che cosa è una professionista? Penso che per definirsi professionista in relazione ad una particolare attività il requisito necessario-sufficiente sia uno: che la suddetta attività sia svolta con particolare maestria e impegno. Impegno visto sia come attenzione nello svolgimento nell'attività stessa sia come tempo dedicato. Essere un professionista in una determinata attività vuol dire mettere tale attività davanti a tutte le altre. Per maestria intendo un grado di elevata competenza, di gran lunga superiore alla media. Di nuovo appare evidente che per raggiungere una tale maestria sia richiesto un tempo molto prolungato oltre ad una particolare predisposizione a tale attività. Credo, che un attività svolta in questo modo debba essere giustamente retribuita in termini economici, in modo tale che il professionista possa così dedicarvisi pienamente, allontanando le preoccupazioni di tipo economico.

Visti i requisiti appare chiaro che non tutti possono divenire professionisti in qualcosa, e ben pochi in determinate attività. Pensiamo ad un medico o ad un avvocato, che raggiungono tale status dopo un lungo periodo di studi e un gran numero di prove intermedie.

Nello sport accade qualcosa di particolare, il confine tra amatoriale e professionistico è spesso davvero labile.
In italia spesso i così detti "atleti professionisti" sono in realtà "maestri professionisti" cioè persone che dedicano principalmente il loro tempo e vengono remunerati per la loro opera di insegnamento, e non la loro attività da atleti. Allo stesso modo negli sport da combattimento quali pugilato, muay thai e mma vi è un gran numero di atleti definiti "professionisti" i quali però a ben pensarci sembrano poco professionali. Infine prendendo discipline olimpiche, ad esempio il mio mai troppo amato Judo, abbiamo atleti stipendiati per allenarsi, estremamente professionali ma con lo status di dilettanti. Tutto questo genera in effetti un po' di confusione.
Mettiamo i tasselli in ordine.
Per me i veri professionisti dello sport sono tutti gli atleti dei vari gruppi sportivi, quindi atleti di livello internazionale per sport olimpici o affini. Affianco a loro vi è quella elitè di campioni straordinari, come Petrosyan, Sakara e alcuni altri, il cui eccezionale talento ha permesso loro di fare della passione un lavoro in proprio. Vengono poi tutti gli altri cui viene riconosciuto lo status "professionistico", ma qui si entra in un terreno abbastanza impervio.
Faccio degli esempi: un pugile per ottenere la licenza di professionista deve disputare e vincere un certo numero di match, al che la federazione può riconoscere che il tale pugile è effettivamente di un livello superiore agli altri dilettanti e merita compensi maggiori. Nella muay thai il processo è molto meno definito, posto che gli atleti vengono divisi in serie (C per i dilettanti, B per i semi-pro e A per i pro) il passaggio tra una serie e l'altra è per lo più a discrezione del manager o allenatore dell'atleta e del promoter che gli offre l'incontro. Capita quindi che tra i professionisti ci siano atleti di livello non così lontano dagli amatori.
Infine nelle mma, probabilmente per caratteristiche e novità dello sport, regna l'anarchia incontrastata, molti atleti che debuttano (con magre figure) direttamente tra i professionisti oppure passano dopo appena un paio di incontri amatoriali, ignorando completamente la gavetta che garantisce una selezione tra i professionisti degli altri sport.
Sopratutto ad imbarazzare, è il confronto tra il combattente professionista di mma -medio- e il, sempre a titolo d'esempio, judoka professionista -medio-, per qualità fisiche, tecniche ed atletiche.

domenica 11 marzo 2012

1° Bologna Grappling Open


Nuova gara, nuova pioggia di medaglie.
Putroppo questa volta non ho preso parte alla competizione, iscrittomi regolarmente nella -80 kg classe B alle 8.00 del mattino sono stato informato solo poco prima delle 15.00 che la mia categoria non si sarebbe disputata inquanto unico iscritto. A questo punto ho chiesto un cambio di categoria e tentare la più ostica classe A, ma gli organizzatori mi hanno concesso unicamente di lottare, sempre in classe B, nella -90. Non ritenendo la cosa sensata (10 chili dopo una dieta per rientrare negli 80 si sentono tutti) ho preferito ritirarmi.
Fortunatamente i miei compagni di squadra hanno fatto ugualmente un ottimo lavoro, portando a casa ognuno una medaglia:
Marco "Kung Fu" Tommaselli II° posto classe C 70 kg al debutto nel grappling
Lorenzo "Bilboa" Bulfone III° posto classe C 70 kg
Moreno Ascani I° posto classe B 70 kg al debutto nel grappling
Egor "The Russian Bear" Krasilnikov I° posto classe B 90 kg al debutto nel grappling
Filippo Girotto III° posto classe B 110 kg
Simone "The Drunken Hobbit" III° posto classe A 65 kg
Martina "Kodokan" Baraccani I° posto categoria unica femminile

I complimenti a tutti, in particolare Simo e Bulfo che hanno comunque lottato nella categoria superiore (di solito sono rispettivamente, 60 e 65 kg) mostrando forse più coraggio di me; i motori sono scaldati e siamo tutti pronti per la grande competizione di fine mese: i campionati italiani di Ostia, dove spero finalmente di fare la mia prima gara in classe B.