sabato 13 ottobre 2012

Lavorare sulle basi


Il Maestro Oda lavora sui fondamentali della lotta a terra
Ultimamente sto cercando di riciclarmi come rompicoglioni. In ogni palestra c'è sempre un rompicoglioni. Ci deve essere. Se un giorno arrivi in palestra e ti accorgi che non c'è nessun rompicoglioni, allora ascolta molto attentamente quello che stai dicendo, perchè probabilmente il rompicoglioni, sei tu.

Di recente pare che stare seduti e dire dove sbagliano quelli che lottano stia diventando uno sport addirittura più in voga del Jiu Jitsu. Io cerco solo di adeguarmi.
Su tutte le cose su cui si possono rompere i coglioni una in particolar modo mi preme: lo studio delle basi.
Il Jiu Jitsu è una figata proprio per la libertà che lascia ad ognuno: chiunque lottando può personalizzare il suo stile di combattimento in base ai propri gusti, al proprio corpo e alla propria attitudine. Però, questo non prescinde da una certa base, che nel mio modo di vedere le cose, deve essere più o meno comune e omogenea.
Si può avere una guardia micidiale, ma è sempre importante studiare i takedown. Si può essere dei gran passatori, ma non va mai dimenticato il gioco di guardia e via dicendo. Ovviamente in competizione e negli allenamenti specifici prima di essa si punterà ad applicare il proprio gioco, ma generalmente in allenamento penso sia meglio non trascurare nessun aspetto del gioco.
Ciò non riguarda solo l'impostazione che si intende stabilire nel match, ma anche e sopratutto le basi della lotta. Ci sono alcune posizioni comunemente dette fondamentali, la guardia chiusa, la guardia aperta, la laterale, la monta, la monta dorsale etcc. Allo stesso modo ci sono alcuni attacchi fondamentali, ovvero estremamente basici: il jujigatame (o armbar), il triangolo, gli strangolamenti coi baveri dalla monta o dalla guardia, la kimura e l'americana, la leva dritta alla caviglia etc. Lo stesso discorso si può fare con i passaggi e le raspagem. Non sono un nerd dei nomi, quindi non saprei come chiamarle ma credo che se mi avete seguito fin qui potete capire il senso di quello che intendo dire.
Può darsi che sbagli, ma nel mio modo di vedere le cose, che è poi il modo che mi sta insegnando il mio Maestro, una maggiore comprensione di questi colpi e posizioni fondamentali renderà tutto il proprio gioco molto più solido. Quando si individua la posizione esatta richiesta per finalizzar in armbar (che dipende da molti fattori, la maggior parte dei quali soggettivi) poi tutti i colpi simili che sfruttano il meccanismo di iperestensione dell'arto (chiave dritta alla caviglia, kneebar, armbar da ogni posizione etc) verranno automaticamente più precisi.

Il resto, banana split, gogoplata, rubber guard, viene dopo. Sarebbe come raspare senza essere capaci di tenere la laterale. A che ti serve essere sopra se poi non sai cosa fare? Parti dalla base.
Non sono un purista che non crede in queste tecniche, qualsiasi tecnica porti l'avversario a battere per me va bene. La critica è nel metodo. Lavorando sulle basi si è sicuri di sviluppare un gioco solido, che nel tempo potrà arrivare ad includere colpi meno ortodossi. Lavorando sui colpi fantasiosi, tralasciando le fondamenta, forse si potrà vincere un paio di match cogliendo l'avversario di sorpresa, ma poi ci si porterà dietro delle lacune tecniche difficili da colmare.
Posizioni->Passaggi->Attacchi.
Basi->Evoluzioni.
Questo è il mio modo di approcciare il Jiu Jitsu.

sabato 6 ottobre 2012

"È tutta una questione di passare oltre"

"It's all about overcoming"


Questo meraviglioso video su Minotauro mi ha dato un enorme spinta in un momento che credevo difficile. Credevo che lo fosse, perchè in realtà mi sto rendendo conto che le difficoltà nella vita ci saranno sempre, e possono essere anche più gravi. In fin dei conti basta fare quello che ho fatto centinaia di volte sul tappeto di lotta: aspettare che finisca e rialzarsi. E continuare a rialzarsi.

Ho praticato judo per tanti anni da ragazzino, nonostante la mia lotta in piedi sia pessima qualcosa ho imparato: a rialzarmi dopo essere caduto. Per un periodo in particolare, mi allenai presso una palestra con una squadra di agonisti molto forti, quasi tutti cinture nere, tutti competitori. Per lo più praticavamo ore di uchikomi e randori. Durante quegli interminabili allenamenti venivo lanciato per tutto il dojo praticamente da chiunque. Credo che siano passati mesi prima che fossi io a proiettare qualcuno. Chiunque dotato di razionalità avrebbe capito che il judo non era lo sport adatto a lui, eppure c'era un motivo che mi impediva di arrendermi. Infatti quella non era la mia palestra, ma ero stato personalmente invitato ad unirmi agli allenamenti dal maestro. Evidentemente, aveva visto qualcosa in me, qualcosa che io stesso non vedevo. E così ogni volta che venivo schiantato sul tatami mi ricordavo che era un grande onore essere li, e dovevo mostrarmene degno. Spesso i judoisti sfruttano gli attimi in cui l'avversario cade, o in cui sono caduti loro, per riprendere fiato, io no. Facevo una gara con me stesso per rialzarmi quanto più velocemente possibile una volta toccato il suolo, divenne il mio modo di mostrare gratitudine. Quando vedevo che le persone ci rimanevano male per la velocità con cui mi rialzavo una volta caduto, ero motivato a diventare ancora più svelto. Questo fece bene al mio cardio e seppure continuavo a cadere iniziavo ad avere molto fiato, che mi permetteva di allenarmi meglio e più a lungo. Ad un certo punto iniziarono a guardarmi come per dire "ma come, non ne hai ancora abbastanza?" e capii che stavo andando bene. La persistenza mi portò persino ad elaborare una mia strategia, non molto onorevole in realtà: subire diversi ippon e quando l'avversario era corto di respiro portarlo a terra almeno una volta prima del cambio.
Poi anche quel periodo finì, per diversi motivi smisi di frequentare quel dojo e in seguito di praticare judo. E nonostante non abbia mai imparato a fare ippon, sul quel tatami ho capito il valore di rialzarsi quando si è a terra.

venerdì 5 ottobre 2012

Risposta alla domanda: che cos'è l'Illuminismo?

«Illuminismo è l'uscita dell'uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso. Minorità è l'incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a se stesso è questa minorità, se la causa di essa non dipende da difetto d'intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di far uso del proprio intelletto senza essere guidati da un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! Questo è il motto dell'Illuminismo.»

Ovvero il rendersi conto, per gli illuministi, che se essi non si fossero salvati da soli con la propria ragione, allora nessuno sarebbe venuto a salvarli.